Lo Chiamavano Jeeg Robot


Regia: Gabriele Mainetti


Recensione no-spoiler


Il primo lungometraggio di Gabriele Mainetti è davvero qualcosa di strepitoso. Lo avevamo conosciuto con Basette, cortometraggio realizzato come omaggio alla serie Lupin III, e successivamente con Tiger Boy, che richiamava le tematiche di un altro cartone animato molto amato dai ragazzini degli anni 70-80, L’uomo tigre, e ora il passaggio alla lunga ripresa non ha deluso le aspettative di questo appassionato di cartoni animati giapponesi.

Questa volta il tema, non innovativo ma molto riuscito, è quello del supereroe italiano. Enzo, giovane della periferia romana senza arte né parte, ha come massima aspirazione vivere di furtarelli, di budino e di film porno. Un giorno, per sfuggire alla polizia che lo insegue, si getta nel Tevere e viene in contatto con dei bidoni contenenti una sostanza radioattiva che lo fa diventare fortissimo. Di questo lui se ne accorge quando, coinvolto dal vicino di casa Sergio in un affare di droga andato poi male, verrà colpito da una pistola e buttato giù da un palazzo senza subire conseguenze.

Da qui la sua storia si incrocia con quella di Alessia, figlia di Sergio, che ha evidenti problemi psichiatrici oltre a una smodata passione per il cartone animato Jeeg Robot, in cui si rintana fino all'ossessione per sfuggire a una realtà fatta di abusi e violenze.
E si incrocia anche con quella della banda dello Zingaro, uno squilibrato boss della malavita locale con ambizioni di carriera, una piccola apparizione televisiva alle spalle e il rimpianto di non aver sfondato nel mondo dello spettacolo, che gli hanno lasciato addosso un desiderio di rivalsa e ammirazione, una smodata voglia di fare er botto.

Dopo la morte di Sergio, Enzo salva Alessia dall'aggressione dello Zingaro e della sua banda, si conquista l’ammirazione della giovane, che ormai lo vede come il suo personalissimo Hiroshi Shiba, e decide quindi di prendersi cura di lei.
Da subito usa i suoi nuovi poteri per procurarsi denaro (divellendo un bancomat e portandoselo a casa), ma poi diventa una persona migliore grazie a quella sciroccata di Alessia, che lo spinge ad aiutare il prossimo ed essere una persona migliore, “tu che puoi diventare un Jeeg”.

E’ come nel vero Jeeg Robot d’acciaio, dove dietro Hiroshi c’è Miwa, dove è Miwa che lancia i componenti e crea il robot… Allo stesso modo qui c’è Alessia, che aiuta Enzo l’eroe involontario, che lo porta sulla via del bene con il suo essere bambina imprigionata nel corpo di una donna. Due solitudini che si incontrano e tirano fuori il meglio l’uno dall’altra, due anime che non sanno stare al mondo ma che ci provano con tutte le loro forze, proprio come nel migliore dei manga.

Per una figlia degli anni ’80 come me, nostalgica dei cartoni animati giapponesi come me, particolarmente legata al robot d’acciaio come me, è pura esaltazione. Ma sia chiaro che questo film non è solo rivolto agli appassionati del genere, cresciuti a pane e cartoni animati giapponesi: in questo film c’è anche un interessante spaccato di Roma, c’è una regia perfetta (un po’ violenta, ma la storia lo richiede), ci sono attori strepitosi che lasciano il segno.


Claudio Santamaria è perfetto nel ruolo del ragazzone ombroso e asociale, che si trova a dover sostenere il ruolo del supereroe. Anche se “un supereroe con le scarpe di camoscio nun s’è mai visto”Luca Marinelli, dopo l’eccellente interpretazione in Non essere cattivo, si supera in questa parte del super cattivo dai modi teatrali, violento fino all’inverosimile, grottesco nella sua passione per la musica italiana anni 80, livido di invidia per il suo insaziabile desiderio di rivalsa e ammirazione, non esaudito. Ilenia Pastorelli, qui al suo debutto cinematografico, è perfetta in questo ruolo di ragazza psicolabile, vittima di violenze, involontariamente sexy e ostinatamente aggrappata al suo cartone animato preferito, appunto Jeeg Robot d’Acciaio, che usa come uno scudo contro la squallida realtà in cui vive. E anche gli attori non protagonisti sono degni di nota, una su tutti Antonia Truppo, nei panni della spietata Nunzia Lo Cosimo.

Lo Chiamavano Jeeg Robot ha fatto il pieno ai David di Donatello del 2016 con pieno merito, aggiudicandosi ben 8 statuette tra cui miglior regista esordiente, migliori attrice e attore protagonista e migliori attrice e attore non protagonista.


Giudizio complessivo: 9

Buona visione e alla prossima,

Simona Olivieri




Trailer




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