L'Albero Degli Zoccoli


Regia: Ermanno Olmi



Spesso, quand’ero più piccolo, mi ricordo che mia nonna era solita raccontarmi storie di quando era ragazza e viveva in campagna, in cascina. Guardando questo film ho avuto l’impressione di rivedere molte delle cose che mi raccontava, una vita fatta di lavoro duro e davvero difficile.

La storia segue le vicende di una cascina nella bassa bergamasca nella quale vivono quattro famiglie. L’attenzione è puntata principalmente sulla famiglia di Batisti che riesce a mandare il figlio a scuola, nonostante disti 6 chilometri. Un giorno però il piccolo Mènec (il figlio) torna con uno zoccolo rotto e Batisti decide di abbattere uno dei tantissimi alberelli di proprietà del padrone per creare un nuovo zoccolo al figlio, ma il padrone non sarà così misericordioso con chi tocca le sue proprietà. Accanto a questa storia principale, se ne affiancano molte altre, quelle degli altri membri della casina che affrontano giorno dopo giorno la vita contadina.


La pellicola infatti ci offre uno spaccato su quella che era la vita contadina alla fine dell’Ottocento, tra campi da arare, panni da lavare al fosso, pannocchie da pulire, animali da allevare per poi macellare e tante altre piccole attività che riescono a farci entrare in questo mondo ormai perduto, fatto di valori e di piccole cose legate insieme dalla religione.


Per Olmi infatti questo film è una dichiarazione di fede, fede che terrà uniti i personaggi e li aiuterà ad affrontare i momenti più difficili, attraverso preghiere, messe e canti che permetteranno ai contadini di riuscire a trovare la serenità in ogni momento.

Da un punto di vista storico, nulla da dire. Il film è perfetto, i costumi e le ambientazioni ricordano molto quelle dell’epoca e la scelta di non usare attori professionisti ma veri contadini per girare il film è stata una trovata geniale, rendendo il film molto più fedele al vero e permettendoci di entrare maggiormente in empatia con i vari personaggi.


La colonna sonora poi è fondamentale per capire il messaggio che vuole comunicare il regista: da una parte abbiamo la musica sacra di Bach, armonie in contrasto con la durezza della vita dei contadini ma coerenti con la fede che essi portano nel cuore; dall’altra abbiamo i canti popolari che aumentano il senso di autenticità dell’opera, essendo canti che realmente vengono e venivano cantati dai contadini bergamaschi.

Il film quindi si pone come un’analisi della vita contadina dall’interno, una visione nella quale chiunque di noi si può riconoscere e un modo per farci ripensare a quali siano i veri valori che forse, nella società di oggi, sono andati irrimediabilmente perduti.

Consiglio il film a chiunque, specialmente a chi capisce il dialetto bergamasco e a chi voglia vedere un pezzo di storia d’Italia poco rappresentato su schermo. 

Giudizio complessivo: 8.6
Buona Visione,

Stefano Gandelli




Trailer



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