Ladri Di Biciclette


Regia: Vittorio De Sica

ATTENZIONE, PRESENTI SPOILER

Italia del secondo dopoguerra. Un uomo, Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), riesce a trovare un lavoro, ma gli serve una bicicletta per ottenerlo. Tramite la vendita di alcune coperte, sua moglie Maria (Lianella Carell) riesce a procurare abbastanza soldi per riscattare la loro bici dall’officina di riparazione. Antonio comincia entusiasta il suo lavoro, ma il primo giorno gli rubano la bicicletta.

Sconsolato e senza più possibilità di lavorare, egli dapprima denuncia il furto, ma vedendo la freddezza della caserma di fronte al suo dramma, decide di chiedere aiuto ad un suo compagno di partito che lo tranquillizza, promettendogli che l’avrebbero ritrovata l’indomani mattina ad un mercatino di merci rubate. 

Il giorno seguente inizia dunque una disperata ricerca con l’aiuto del figlioletto Bruno (Enzo Staiola), che porta ad un anziano signore sorpreso a parlare con un ragazzo in sella alla bici incriminata. Il vecchio però, inseguito fino ad una mensa per poveri, si dimostra restio alla richiesta del Ricci di condurlo dal giovane, e così Antonio decide di affidarsi ad una “santona” da cui sorprese sua moglie Maria. Purtroppo però, non ottiene che una vacua risposta, ma all’uscita trova il ragazzo che cercava, sebbene perfino la perquisizione della sua casa non gli frutterà alcun risultato. 

Antonio decide allora di rubare una bicicletta, ma il suo maldestro tentativo viene fermato in breve tempo: l’uomo ha fallito anche nel più disperato dei suoi piani.

Commovente lo scambio di sguardi finale tra Antonio e Bruno che, piangenti e senza più speranze, tornano a casa, mescolati in una massa di gente come loro: indigente e sfiduciata.

Ladri Di Biciclette, film del 1948 di Vittorio De Sica, tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Bartolini, è una storia di ordinaria miseria, la cui scena iniziale mostra la disperazione di un ammasso di uomini costretti ogni mattina a chiedere angosciosamente lavoro, nella maggior parte dei casi invano. 

La disperazione però, non fa distinzioni di genere ed infatti presto vediamo un gruppo di donne di ogni età, Maria compresa, ricorrere ai fantomatici aiuti di un’anziana “santona”. Quando poi padre e figlio provano a dimenticare la tristezza per la bici rubata andando in un’osteria, la loro felicità ci sembra assurda nel 2017, ma per loro quello era un evento eccezionale, che gli permetteva di sentirsi un po’ meno poveri.

Rarissimi i primi piani, per risaltare lo stato emotivo dei protagonisti. Vittorio De Sica si è invece servito dei mezzi primi piani, molto sfruttati durante tutto l’arco del film.

Questo capolavoro è il manifesto del neorealismo italiano per eccellenza: gli attori non sono professionisti, le scene sono girate prevalentemente in esterno, per lo più in periferia e in campagna, il soggetto rappresenta la vita di lavoratori impoveriti dalla guerra, la trama è costruita su scene di gente normale impegnata in normali attività quotidiane, e il bimbo, Bruno, riveste un ruolo di grande importanza. Enzo Staiola ha raccontato che quando nella scena finale transita il tram, il suo passaggio non era previsto dal copione, infatti Bruno va da una parte e Antonio dall’altra, creando una scena completamente improvvisata, come dimostrato anche dai passeggeri del tram che in coro si sporgono a guardare l’arresto, in quanto lo credevano reale, non essendosi accorti della macchina da presa. 

Questo è stato il cinema neorealista, in cui la realtà entrava totalmente nel film, e la fantasia si confondeva spesso con la vita vera.

La pellicola parla di un’Italia fatta a pezzi, la cui unica speranza sembrava essere riposta nel “mal comune mezzo gaudio” che rappresentava l’unica risposta alla sofferenza che attanagliava gran parte della popolazione. Nella scena finale, difatti, si può vedere come tutto sommato la gente sorrida, trovando conforto proprio nel non essere sola, nel sentirsi una goccia nell’oceano di miseria di quegli anni. 

Un film che ha segnato un’epoca.

Giudizio complessivo: 9.4
Buona visione,







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