Red State


Regia: Kevin Smith

Kevin Smith viene dai più ricordato per i suoi “Clerks”, forse per Dogma o per il bizzarro Tusk (cazz. ora mi è venuta voglia di rivederlo), ma non di certo per questo Red State, almeno nel mio caso, dato che fino ad oggi non ne avevo mai sentito parlare.

E mi autopunirò per questo, dal momento che questa pellicola, pur non essendo un capolavoro, ti rimane comunque dentro e offre diversi spunti notevoli, tali da non giustificare una sua esclusione dalla filmografia degli appassionati. 

Le tematiche affrontate al suo interno sono molteplici, ma non cozzano mai tra di loro, fondendosi piuttosto bene all’interno di questa storia allucinante per contenuti e per le modalità con cui viene difeso e diffuso il proprio credo.

Si parte con l’estremizzazione del concetto di compravendita di sesso online, grazie a questo trio di adolescenti minchioni che si vogliono fare la milf di turno, senza però aver fatto bene i conti. Che poi te lo insegnano pure fin da bambino che non si accetta da bere la birra dagli sconosciuti, soprattutto da presunte milf vogliose di farsi tre ragazzini minorenni. Cazz. è la prima regola, te la spiegano nel dettaglio già all’asilo. Ma tanto ci sareste cascati lo stesso pure voi…anche tu che stai leggendo proprio ora e sei convinto di no…credimi ti sbagli!


Ben presto però si fa strada la questione religiosa, con il lungo monologo del padre che ad essere onesti rischia di portare seriamente all’abbiocco e che alla lunga rompe pure un po’ la minchia (così come era successo in molti punti del sopravvalutato The Witch), ma che risulta fondamentale per introdurre il personaggio e chi gli sta vicino nei suoi deliri deliranti.


E proprio questi deliri ci portano verso uno degli aspetti a cui il regista dedica parecchio del tempo speso a girare la pellicola: il non accettare il diverso, colui che non vive secondo i tuoi canoni, quello che, con i suoi comportamenti, rischia di compromettere tutto il castello che ti eri creato e verso cui avevi spinto tutti i tuoi seguaci. E a farne le spese sono in primis gli omosessuali, le vere minacce verso cui la comunità sembra volersi difendere, almeno nella prima parte; non è un caso tra l’altro l’inserimento della scena dello sceriffo intento a farsi intrattenere dall’amichetto di turno, che sarà poi oggetto del ricatto del padre, messo in pratica con quella ferocia e quel disprezzo tipiche di chi è fermamente convinto del disgusto provato verso, appunto, il diverso.

La vera e propria guerra, combattuta con tonnellate di piombo, che non si sono viste manco nel finale di Scarface, serve proprio a mettere in evidenza fino a che punto la setta (o comunità, insomma chiamatela come cazz. vi pare) si spinge a combattere l’esercito di ignobili peccatori che mineranno la loro esistenza. Ma trattandosi di guerra (combattuta quindi tra almeno due schieramenti), non viene di certo messa in evidenza solo la critica alla frangia più estrema della religione; anche la controparte infatti non viene per nulla risparmiata e la prova più tangibile la si ha nel momento in cui uno dei 3 adolescenti minchioni, insieme con la giovane e forse un pelo confusa ragazzina, provano a mettersi in società tentando una tregua improbabile.


Insomma ce n’è per tutti e di certo Kevin Smith non si è fatto degli amici.

E neppure il buon Michael Parks se ne sarà fatti di amici probabilmente, anche se la sua interpretazione è eccezionale (ricordiamo tra tutte le scene, quella in cui affronta i poliziotti quando ormai siamo in dirittura di arrivo), così come quella di John Goodman nei panni dell’Agente Keenan. A tal proposito non si può non citare l’interrogatorio finale, dove si erge a protagonista con i racconti dei vicini universitari e di come hanno perculato i fanatici e con le citazioni utilizzate per rispondere (partendo da mooolto lontano) alle domande rivoltegli dai suoi interlocutori. Perché è proprio vero, “La gente fa le cose più strane se si sente autorizzata a farle, ma fa anche di peggio quando si abbandona alla fede cieca”.


Tra gli altri personaggi poi, che per altro non sfigurano, segnalo pure la presenza (seppur solo come breve comparsa) di quella Anna Gunn che tutti abbiamo odiato mentre rompeva i coglioni al marito WW in Breaking Bad e quella dell’ottimo Patrick Fischler visto sia in Lost che in Mulholland Drive.

Il finale sarebbe perfetto, con quel “E chiudi quella cazzo di bocca” che avresti voluto urlare sin dal primo minuto, ma giunge un po’ troppo precipitosamente, lasciando quasi intendere che la produzione abbia voluto chiudere lì la faccenda in fretta e furia (finito il grano per caso?).

Come detto prima comunque, di certo non è un capolavoro e ci sono diverse pecche, ma nel complesso resta un film di quelli che non ti scordi in breve tempo e che comunque riescono a farti riflettere e a farti prendere le distanze da tutti sti cazz di predicatori ed estremisti di vario genere, di cui il mondo attuale, seppur non sia messo proprio così bene, non ha certo bisogno.

Giudizio complessivo: 7.8
Enjoy,





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